Museo Etnografico di Aquilonia Beniamino Tartaglia

Fabbro

Smith

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Nel chiuso della sua fucina, annerita dalla fuliggine e di tanto in tanto illuminata dai bagliori dei carboni della forgia o dalle faville sprigionate dai colpi del maglio, modellava il ferro arroventato e ne ricavava attrezzi agricoli e da lavoro in genere, nonché utensili per uso domestico e chiodi per calzolai.

Spesso riparava quelli rotti, integrava quelli usurati, ribatteva quelli deformati, affilava quelli consumati e rifaceva i denti delle falci messòrie.

La materia prima di cui si serviva era il ferro, in piastre, lamine e bacchette di dimensioni e spessori diversi.

I suoi strumenti di lavoro erano: la forgia a carbon fossile alimentata da un mantice o da una ventola e corredata da attizzatoio, paletta e tenaglie dai lunghi manici; magli (mazz); martelli di varia grandezza; incudine, vasca (vav-tó-n) di pietra con acqua, mola-affilatrice; sagoma per chiodi da scarpe; bancone con morsa e trapano; cunei e scalpelli da taglio o a punta (per fori); pinze e molle; cesoie, seghetti, metro, compasso, leve, pali di ferro, madreviti, cacciaviti, spazzole in acciaio, lime, acidi, antiossidanti, gessetti, miniscalpelli a taglio per dentatura falci; punzonatori e punteruoli.

In successione, misurava, segnava col gesso o col punteruolo, tagliava piastre e bacchette, le inseriva tra i carboni accesi fino all’incandescenza e, reggendole con lunghe tenaglie, le sagomava sull’incudine a colpi di maglio e di martello, per ottenerne la dimensione, la forma e lo spessore desiderati; raffreddava i manufatti nell’acqua e, quando era necessario, ne temprava il metallo (con un raffreddamento piú rapido), perché fosse piú resistente nel taglio e avesse una punta che non si consumasse o deformasse.

Produceva e riparava, oltre ad alcuni attrezzi propri della sua attività, zappe, zapponi, sarchielli (zappèdd), zappette, bidenti (bbriènd), vanghe, badili, picconi (pi-ch), pale, rastrelli (rambi-n), forche, forconi, accétte, asce, roncole [rung(e)nèdd], potatoi, martelli, chiodi, sgorbie, nasiere (naschètt), briglie, coltelli e coltellacci, treppiedi (tripp-t), falci e falcioni, serrature di varia foggia e grandezza (masc-catu-r), saliscendi (calasci-n), aratri, vomeri, spuntoni, ringhiere, inferriate, battenti per portoni, cardini, forzieri, “scibb-i(e)” e cerniere, anelli per parcheggio animali, asciugapanni, catene per camini (camastr), portabacinelle, anelli e ganci (‘ngi-n) per pertiche, cancelli, graticole, palette, alari, molle e soffietti per il focolare, tirabraci (ruó-t-l)  per forni e per stendere e riammucchiare cereali e legumi, raschietti per liberare le scarpe dal fango (da sistemare ad uno dei lati dell’ingresso dell’abitazione).

Il mestiere del fabbro, tra i piú antichi e diffusi del mondo, è stato quasi del tutto spazzato via dalla meccanizzazione dei lavori agricoli e dai prodotti della moderna industria.

Spending all day in his forge, blackened by soot and illuminated by the glow of the incandescent coals, he would model red- hot iron and produce tools for agriculture and various other uses and activities, including the tiny nails for the shoe maker.

he would often repair broken tools, reshape worn out and deformed ones, sharpen blunt tools and re chisel dents on sickles and saws.

he would use mainly iron, in plates, sheets and rods. his tools were: a coal lit forge, pliers, hammers of various shapes and sizes, an anvil, a stone water  tub, work desk with clamp and drill, wedges and chisels, pincers and springs, shears, small saws and files, etc.

he would cut the plates and rods, insert them between incandescent coals, until they became glowing red, and shape them with his hammer on the anvil, to obtain the desired size, shape and thickness. he would then cool the artifacts in cold water to make them stronger and more resistant.

his profession, amongst the most ancient and widespread throughout the world, has been almost entirely replaced by the mecchanization of agricultural labour  and by the products of modern industry.