Nutrimento base dell’alimentazione delle comunità del passato, contadine e non, solo da pochi era acquistato dal fornaio o dal panettiere. Quasi in ogni famiglia lo si produceva in casa attraverso una serie di operazioni successive.
Dopo averlo accuratamente crivellato (cernúto) e liberato (síveto) da impurità varie (vézza, scaglie e cegliàre), il grano veniva trasformato in farina attraverso mulini di vario genere:
Prima dell’alba, dopo aver setacciato accuratamente la farina nella madia (fazzatóra), le donne la miscelavano con acqua, sale e lievito (crescènd); ne riducevano a pezzi circolari (šcanàte) la pasta ottenuta e li mettevano a lievitare (crésce) per qualche ora, avvolti in panno o protetti da una piccola coperta di lana (la cupertèdda), al caldo, accanto al focolare o nella stalla. Quando il forno, riscaldato con fascina o legna, raggiungeva la giusta temperatura, veniva ripulito dalla brace e dalla cenere con appositi attrezzi (ruótelo e múnnelo); e vi si introducevano con una pala di legno le forme di pane, controllandone costantemente la cottura.
La produzione del pane, a cadenza mediamente settimanale, era un avvenimento che creava un’atmosfera ed un clima festosi: la padrona di casa era indaffarata un po’ piú del solito ma faceva anche qualcosa di diverso; i bambini erano in attesa della pizza “lènda” (che avrebbero imbottito di fettine di lardo o di ventresca) o della panella (paniédd) con ciccioli (fríttele) o semi di finocchio; tutti gioivano del profumo fragrante del pane ancora caldo e gradito piú di un dolce.
Lo si mangiava immerso nel latte, nel ragú residuo (scarpètta), nel vino, abbrustolito (crúšcule) e cosparso di olio; nelle zuppe di legumi; con fettine di lardo o di pancetta (vendréšca); con i salami e le aringhe; nel brodo delle verdure; con i maccheroni (pratica molto diffusa); con il formaggio; con le cipolle ed altri ortaggi; versandovi sopra acqua fredda, olio, sale ed origano (acquasala fredda); oppure acqua bollente con olio, sale e peperoncino (acquasala caura); oppure cotto in pentola con grasso animale e peperoncino per gli adulti; o con olio crudo per gli infanti (panecuótto).
Insomma, quasi tutti gli alimenti, di natura animale e vegetale, diventavano accessori del pane, donde companatico (cumpanagge).
MUGNAIO
Proprietario o gestore di un mulino ad acqua, ne governava e ne regolava l’attività. Versava il grano o il mais, dopo averli passati dai sacchi di iuta (téla r’ardíca) nella tramoggia e controllava quelli destinati a ricevere la farina, confezionati con tela “a bastemènd” perché non traboccassero.
Periodicamente sollevava con una gru la macina superiore, la spostava e la capovolgeva, liberando anche il piano di quella inferiore; le risistemava entrambe, consumate dal continuo sfregarsi, ripristinando le scanalature disposte a raggiera con l’aiuto di un martello, di uno scalpello e di una bocciarda.
Provvedeva anche a piccole riparazioni alle cinghie di trasmissione ed a qualche ingranaggio in legno.
Riposava nei periodi di maggiore siccità e durante le gelate invernali.
A volte disponeva di locali per ospitare i clienti, con i loro asini, muli e cavalli, costretti ad attendere per giorni e notti il loro turno (véceta), per poter costituire una rassicurante riserva di farina.
È stato per secoli una figura importante, specie nei borghi rurali: dirigeva un impianto di notevole valore economico e sociale; possedeva nozioni di idraulica e di meccanica; sapeva far funzionare una macchina complessa.
PANETTIERA
Servendosi di setacci, buratti e vagli dalla trama piú o meno fitta (séte e sétazze), separava la farina dalla crusca.
Aggiungendovi poi acqua, sale e lievito (crescènd), la miscelava nella madia (fazzatóra o matra) ed a forza di braccia, ed eventualmente con l’aiuto di una gramola, ne ricavava un impasto omogeneo, compatto e manipolabile.
Dopo averlo spezzettato (šcanàto), lo riduceva a forme di varia grandezza e tipologia (bastoni, filoni, panelle, pagnotte, schiacciate e gallette).
A lievitazione avvenuta, le trasferiva (su di una tavola lunga e stretta, “lu tumbagn“), per la cottura, al forno pubblico (il suo, se lo aveva, non era adatto che a piccole quantità).
Vendeva, con consegne a domicilio, ad agrari, proprietari terrieri e datori di lavoro, che assumevano stagionalmente e “a ghiurnata” abbondante manodopera; nonché a tutte quelle famiglie che non erano in grado di provvedervi direttamente, per mancanza di materia prima e/o delle necessarie attrezzature (si trattava, in genere, di persone che non possedevano terreni né ne coltivavano in fitto o di famiglie poco abbienti).
FORNAIO
Soffriva molto d’estate, esposto a temperature altissime; ma sudava anche d’inverno, quando, dopo essere stato a contatto con la bocca del forno, doveva, in giro per le strade del paese, con la tromba avvisare le donne perché portassero il pane o altro da cuocere.
Ben fornito di paglia o legna, di buon mattino cominciava a riscaldare (e l’operazione si ripeteva piú volte durante la giornata) la cupola destinata a contenere panelle (šcanate), pizze in tortiere e carne in “ruóte”. Ottenuta la temperatura idonea, liberava il piano cottura con un tirabrace (ruótelo) e lo ripuliva ben bene dalla cenere con uno scopino dal manico lungo e con un frusciandolo-spazzaforno (múnnelo). Con una pala di legno particolare, sistemava nel forno, una accanto alle altre, le forme (piézz) di pasta (tutte con un marchio o un segno di riconoscimento) e ne chiudeva l’imboccatura. Periodicamente, con l’aiuto di una lampada ad olio o a petrolio, spiava all’interno e stabiliva, dal colore delle forme, se la cottura era al punto giusto. Con la stessa pala, le tirava fuori e le allineava, per gruppi familiari, su di una lunga tavola, per consegnarle, calde, profumate e croccanti, alle proprietarie. Cuoceva, altresí, taralli e biscotti, “tòrtene” e “susamiéll”, “squarcèdd” e focacce, “muscišca” e carne di animali vari.
Bread was the main food staple of the time. Very few peasants purchased it from the baker shop. Almost all families made and baked their own.
After having sieved the wheat grains, they were taken to the mill to be turned into flower. Well before dawn women started to clean the flower of its impurities. They would then work it into dough by mixing it in with water, salt and yeast. The dough was then cut and each piece formed into a circular shape. It was left to leaven for a few hours by covering it with wool cloth to keep it warm. The dough was usually placed near the fireplace or in the stable. Once the oven reached the right temperature they put in the dough pieces using a flat wooden shovel. The baking bread was checked regularly till it was done.
The bread was baked on a weekly basis and this was a happy event in the life of the peasant family. Children could not wait to eat the pizza stuffed with bits of lard and bacon, or eat the panellas, tiny bread loaves sprinkled with fennel seeds. The fragrance of the baking bread and the treats of pizzas and panellas were appreciated even more than pastries.
Bread was a part of every meal. When it got old, it would be softened by pouring cold water over it and flavored with oil and oregano, or pouring hot water then spicing it with lard, salt and hot peppers. It was also boiled into a paste with just a bit of olive oil and used as baby food.
WATER MILL OWNER
The water mill owner ran the water mill. He managed the milling of the grain, separating corn and wheat and then appropriately filling the sacks with the flower from each. He would also have to be careful that the flower would not spill. He was constantly checking the machinery, upper and lower cranes, loosening up the flow of grain and flower by tapping with chisel and hammer here and there at parts of the mill machinery. He replaced belts, fixed wooden gears etc.
He had little work during the winter or in period of dry spells.
Some water mill owners also had quarters that could host peasants, mules, horses or donkeys. These were necessary since most of the clients had to wait in line (at times several days) for their grain to be milled.
The water mill owner was very important to the many rural villages in the area. He had a considerable economic power and possessed enough mechanical and technical knowledge that allowed him to run the mill.
THE BREAD MAIDEN
She would clean and sift wheat flower, then prepare the dough, knead it, and cut it into loaves of several sizes. She placed the dough pieces on a long wooden bar and once the dough had risen, she would take it to the public oven to bake. She would then sell her bread to families, do home deliveries and also provide it to peasants who had hired laborers to assist with their work.
THE BAKER
His job was a tough one. He worked in very hot condition, sweating both winter and summer. After he was done baking all morning in front of a hot oven, he had to then take a trumpet, go throughout the village, and blow it and yell to the top of his lungs to announce to the women when they could bring the bread to be baked or when it was done and had to be picked up.
He was always stocked plenty of hay and wood. He preheated the brick oven early in the morning and several other times during the day. Once the oven had reached temperature, he cleared the coals and ashes from the oven bed to allow for the bread to be placed there.
He had several individually marked flat wooden shovels that were used to place the bread into the hot oven. The oven door would remain closed, and he could check through a small peep-hole on the oven door, usually with the help of an oil lamp light, to see if the bread was ready.
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