La “candina” era un punto d’incontro privilegiato per gli uomini, come per le donne lo erano la fontana, il lavatoio ed il forno pubblici. L’osteria, solitamente un localaccio sporco e fuligginoso, era anche un tramite di cultura ed un ambiente di partecipazione simbolica di antica fraternità e di comunicazione, con una funzione sociale notevole; l’unico polo laico di contatti tra adulti che in libertà potevano conoscersi e parlare tra loro. Essenziale l’arredo: un tavolo, delle panche di legno e qualche sedia; in un angolo, botti e damigiane; su delle mensole, boccali, fiaschi e contenitori in vetro o latta di varia misura; alle pareti, lunari, l’elenco dei giochi proibiti, un lume a petrolio o a gas; sospesa al soffitto una carta moschicida; a portata di mano, su di un ripiano, bicchieri di piccole dimensioni, taralli, aringhe affumicate (saràche), ceci abbrustoliti, formaggio cagliato (cu li viérm), frutta secca e mazzi bisunti di carte da gioco.
All’osteria si andava quasi solo il sabato pomeriggio e la domenica (gli altri giorni la frequentavano sporadicamente gli artigiani ed i perditempo). Vi si restava seduti per ore intere, provando il piacere del riposo fisico, con un bicchiere di vino davanti, in gruppi piú o meno numerosi. Si chiacchierava alla buona, o si discuteva animatamente; si giocava a carte, a morra (anche se era vietato) ed alla “passatella” (patróne e sótta); e si cantava in coro.
Spesso il vino bevuto in misura eccessiva produceva i suoi effetti negativi su qualcuno che diventava petulante o violento. Nascevano contrasti con gli altri avventori e/o con l’oste, che si vedeva costretto a cacciare fuori gli importuni con la forza.
Con la sbronza (pèddra), volavano imprecazioni, bestemmie, parolacce ed urla; ed aumentava l’aggressività. C’era chi diventava oratore e faceva maldestramente uso di parole dotte e ricercate, suscitando risate e battute ironiche; chi si metteva a discutere monotonamente sempre sullo stesso tema; chi tentava di attaccare briga; chi cercava di imitare qualche personaggio noto, assumendone grottescamente la posa e l’espressione anche verbale. Qualche volta, ripescando nella sua confusa memoria qualche frammento di ricordi di torti subiti, c’era chi rivendicava scuse o attuava tardive reazioni, rappresaglie o punizioni, concludendo la serata con una rissa o, non infrequentemente, con accoltellamenti piú o meno gravi, con inevitabile carcerazione o fuga dai rigori della legge. L’oste era solitamente furbo e paziente, dotato di senso pratico e saggio: ascoltava molto, parlava poco, dominava le diverse situazioni con la sua sobrietà e si barcamenava tra le posizioni dei tanti avventori, ognuno col suo problema e con la sua soluzione.
A volte, alla “candina” erano annesse la locanda, per il ricovero dei viaggiatori; e la taverna, per i carrettieri (che dormivano nella stalla, accanto ai loro animali).
VINAIOLO
Dopo averlo acquistato con un lungo viaggio nei paesi di maggiore produzione, riforniva di vino di ogni gradazione e colore (ma soprattutto rosso) bettolieri (candeniére), osti, tavernai, trattori, locandieri e vinai al minuto.
Possedeva un carro dal vasto letto, trainato da uno o piú animali ed attrezzato per il trasporto di botti e botticine, barili, “varrécchie” e damigiane, il cui contenuto travasava nei recipienti dei clienti, con l’uso di tubi di gomma ed imbuti.
CONTAFROTTOLE
Loquace, non privo di intelligenza, dalla lingua sciolta, affabulatore ed intrattenitore di professione, fornito di un ampio repertorio di barzellette, lazzi, frizzi, battute spiritose, pettegolezzi, racconti veri o inventati, capace di arditezze e di impasti linguistici che suscitavano immancabilmente il riso dei suoi spesso ingenui ascoltatori, frequentava, di sera e nei giorni festivi, aie, masserie ed abitazioni con gruppi familiari pletorici, insomma tutti quei luoghi in cui poteva disporre di persone che gli prestassero attenzione.
Il pubblico era costituito da bambini, giovani ed adulti, maschi e femmine, che si incantavano, si commuovevano, sognavano o ridevano per le sue esibizioni mimiche e verbali. In cambio, riceveva del cibo e/o qualche bicchiere di vino.
The tavern was the meeting place for the well-off peasant. It was usually a dirty and smoky place. It was also the place of a symbolic and ancient fraternity with a considerable social clout. It was the only place where men could go to meet and chat.
The décor was: a table, some wooden benches, some chairs, wine casks, on the tables were jugs, flasks, and glass containers. On the walls there was a note with a list of card-games that were forbidden, an oil or gas lamp. A piece of fly-paper hung from the ceiling. Easily within everyone’s reach were wine glasses, “taralli” (ring shaped biscuits), smoked herrings, roasted peas, cheese, dried fruit and worn out and oily playing cards.
The peasant went to the tavern only on Saturday afternoons or on Sundays. The rest of the week the tavern was frequented only by craftsmen or bums. Time in the tavern would be spent simply sitting down, resting, nursing a glass of wine, and enjoying the company of others. They would chat calmly and at times with passion, they would play cards or some local game, and then would all join to sing in a chorus.
Often someone had too much wine and got a bit arrogant and at times a bit violent. This often degenerated in arguments with other patrons and/or the owner of the tavern, who would have to toss out the offender by using brute force.
The drunk would start cursing, yelling, screaming and becoming more aggressive. There were those that once drunk, felt like orators and badly misused fancy words and phrases which made people laugh at them. There were those that always brought up the same argument, those who always looked for a fight, those who tried to act like some famous person, by grotesquely mimicking their mannerism and speech. At times, someone would dig deep down in his memory and find some ancient wrong he had suffered and would demand satisfaction, thus ending the evening bickering or worse, as often happened, in fights and stabbings. The owner of the tavern was usually sly and patient. He was a very good listener but did not talk too much. He was always in charge of the situation.
There some taverns that also had an inn for travellers and a stable for their mules and carts.
THE WINE MERCHANT
The wine merchant bought the wine by traveling to towns where it was produced in large quantities. He then sold retail to taverns, inns and wine makers. He owned a large cart pulled by one or more beasts and adapted to the transport of barrels, casks and flasks.
TALES & JOKES TELLER
Smart, intelligent and loquacious, the tales teller had a large repertoire of jokes, tales, either learned or made up. He would ply his trade during the holidays visiting farms, drinking places and inns. In other words he would be any place where people cared to listen.
His main audience was women and children. They would listen his every word and be thoroughly entertained and were often moved to laughter or tears by his jokes, tales and his mimicry. In exchange for the entertainment, he received food and often a glass of wine.
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