Occorreva farne una grande provvista per tutto l’anno: la si usava quasi quotidianamente per preparare le paste e le minestre (solo d’estate si utilizzavano pomodori freschi). Spalmata su una fette di pane e con l’aggiunta di qualche goccia di olio, serviva per far colazione.
In Aprile–Maggio, in orti o in campi di granturco, piantine germinate in appositi semenzai (vrassecàle) venivano collocate in buche del terreno (fatte col piantatoio ed otturate con letame), in cui, riparate dal sole con foglie di cavolo, prendevano subito vigore. Le si rincalzava con una zappetta; le si irrorava con acqua e solfato di rame, prima e dopo la fioritura; le si sollevava da terra e (con salici, ginestre e giunchi) le si legava a canne e bacchette di legno, costituendone dei filari, da innaffiare (arracqua’) in assenza di pioggia. Successivamente, si procedeva alla cimatura ed alla scacchiatura (eliminazione dei germogli situati lungo il fusto, a vantaggio del volume e del peso dei frutti).
A fine estate si coglievano, ormai maturi, i pomodori da conserva, mentre quelli riservati al consumo nei mesi immediatamente successivi venivano appesi, a mazzetti o a semicerchi (‘nzèrt), alle pertiche, ai fili di ferro tesi tra travi, su muri e pareti, alle finestre ed ai balconi, Quelli destinati ad essere trasformati in conserva venivano lavati, selezionati e cotti in pentoloni e tinozze di rame e poi strizzati in un apposito setaccino (setazz): li si spremeva energicamente con le mani, separando cosí la polpa [che veniva raccolta in una sottostante zuppiera (šcafarèia)] dalle bucce (cuóffele) e dai semi (che erano utilizzati per l’alimentazione del pollame). La polpa spremuta, versata in grossi piatti (spàse) o su di una tavola, veniva esposta per intere giornate al sole (ma anche alle mosche ed alla polvere!), fino a che, voltata e rivoltata periodicamente con una palettina di legno per una migliore evaporazione dell’acqua contenuta, non si fosse ben rassodata. Era, infine, messa in vasetti di coccio smaltato, pressata e ricoperta di foglie di fico unte di olio, in attesa di essere consumata nell’arco di un intero anno.
One needed to have plenty of it to last the entire year since it was used almost every day to prepare pastas and soups. It was also spread on a slice of bread with a bit of olive oil, as a breakfast treat.
The tomatoes were harvested at the end of summer. Those that were selected to make tomato paste were washed and cooked in large copper pans, and then strained through a special sieve. The resulting pulp was the placed onto a large dish or wooden plank and left to dry up in the sun for days. This paste was regularly turned over with a wooden spoonas it was exposed to the sun to ensure the complete evaporation of all the water it contained till it turned into a thick paste. It was then put into ceramic jars, covered with a fig leaf smeared in olive oil, and left in storage till it was time to use it during the year.
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