Museo Etnografico di Aquilonia Beniamino Tartaglia

Carne

Meat

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Alimento nella maggior parte dei casi prodotto in famiglia, con l’allevamento di animali domestici come il maiale (cosí chiamato perché consacrato alla dea romana Maia), i conigli ed il pollame.

Era, soprattutto il primo a fornire per un anno i grassi e le proteine necessarie all’alimentazione.

Maialini di entrambi i sessi, tratti da una precedente figliata e castrati; o scrofe e verri al termine della loro carriera di riproduttori (anch’essi privati di parti degli organi genitali) venivano fatti ingrassare con una intensa e ricca alimentazione a base di crusca (caniglia), di mais, di avanzi di cibo, di siero di latte, patate, mele, zucche (cucózz), ghiande (cèrz), erbe e foglie di piante grasse (furn re ógn cavadd).

Nei mesi invernali, in fase di luna calante, si provvedeva ad ammazzare il maiale ed a compiere tutte le operazioni di trasformazione delle sue carni e del suo grasso.

Le persone piú giovani e robuste della famiglia o tra gli amici lo afferravano e lo immobilizzavano su una panca, mentre i bambini ne stringevano in mano la coda.

Un esperto del gruppo, armato di un lungo e ben appuntito coltellaccio (scannatúro), gli tagliava con precisione la giugulare, facendolo rapidamente morire per dissanguamento.

Dopo che il calzolaio ne aveva strappato dal dorso le setole migliori (con cui metteva la punta allo spago impeciato per la cucitura a mano delle scarpe), lo depilavano (pelàveno) con getti di acqua bollente e lo raschiavano con lame taglienti. Infilando, poi, le estremità del gambiere (hammiére) – un pezzo di legno duro, ricurvo ed a tenute terminali – tra il nervo e l’osso dei piedi posteriori, a gran fatica lo sollevavano e lo appendevano con una fune ad un anello di ferro del soffitto. Provvedevano, successivamente, alla decapitazione, allo sventramento, alla eviscerazione (con pulizia delle interiora) e, con un taglio sul dorso, alla separazione del corpo in due bande simmetriche, tenute ancora insieme, in basso, da vertebre non tagliate.

Con quest’ultimo intervento, si metteva in evidenza lo spessore del lardo (la cui conoscenza era attesa, per ovvi motivi, con comprensibile trepidazione) e, scarnificando, la qualità dei prosciutti e delle spalle. La carcassa rimaneva appesa per una o due notti, in modo che le sue componenti si rassodassero con la bassa temperatura di stagione. Tirata poi giú, veniva poggiata su di un ampio ripiano ed appezzata (pezziata), ricavandone, con sapiente abilità, forme rettangolari di lardo e di ventresca (vendréšca), cotenne, pancette e carne da insaccare in budella ripulite per farne salsicce e soppressate, previa triturazione (con coltelli o con tritacarne a manovella) e manipolazione con sale e spezie. Cervella, orecchie, coda, zampe, fegato, polmoni, cuore, reni (regnúne) ed ogni altra parte (tranne la milza con il fiele) venivano utilizzati o per confezionare salsicce meno pregiate ed insaccati vari o, a piú riprese, per condire verdure.

Tutti gli insaccati erano appesi alle pertiche per l’asciugatura, per una parziale essiccazione e per l’affumicatura; per essere poi, interi, conservati in cantina o, a pezzi, messi sotto sugna o sotto olio in vasetti di terracotta e mangiati con parsimonia, in particolari occasioni, durante i mesi successivi. Tutto il resto veniva messo sotto sale, per periodi piú o meno lunghi (da una settimana ad un mese ed oltre, a seconda dei pezzi). Alcune costate ed il fegato con la “zéppa” venivano regalati a parenti ed amici, che di lí a poco avrebbero ricambiato l’omaggio. Dalle parti grasse piú piccole e dai residui vari, per bollitura, si ricavavano i ciccioli (fríttele) e la sugna (‘nzógna), che veniva conservata o nella vescica (che sarebbe rimasta appesa alla pertica) o nei vasetti, e consumata per condire, fino all’inverno successivo, le varie pietanze (il burro si usava pochissimo e dell’olio, che costava molto, non tutti potevano disporre). Anche lardo, prosciutti e spalle, terminato il periodo della salatura, venivano appesi alla pertica. Quando questa era ben fornita (ed il granaio pieno), ogni famiglia guardava con tranquillità al suo futuro.

Conigli e pollame erano ammazzati, scuoiati o spennati in occasione di festività e ricorrenze importanti. La Domenica, qualche pezzo (murzóne) di salsiccia troneggiava sulla zuppiera comune di fumante pasta fatta in casa (negli altri giorni, un po’ di formaggio o baccalà e tante proteine di origine vegetale!).

L’organo genitale del maiale maschio (menghiaríno) serviva per ungere le scarpe ed i lacci di pelle. Gli ossi, i piedi, le orecchie e la coda venivano lessati piú volte insieme con le verdure, per insaporirle; lo stomaco ed alcune budella erano utilizzati per preparare piatti di trippa.

E, siccome del maiale non si buttava niente, le sue unghie venivano bruciate nel focolare per “profumare” l’aria dell’abitazione satura di olezzi vari, mentre tutti gli altri resti erano usati per fabbricare il sapone.

It was usually raised by the peasant family to butcher along with rabbits and chickens. The pig (Maiale) was so called because it was consecrated to the Roman goddess Maia. It supplied the family with a source of fat and protein for the entire year. Piglets, both male and female, were spayed and neutered. They were fattened by feeding them a diet of corn and bran, leftovers, whey, potatoes, apples, pumpkins, grass and leaves from fatty plants. The pig was butchered in winter time during the period of the waning moon. The peasants than would begin to cut its fat and meat into various products.

Anskilled peasant would kill the pig by cutting the jugular with a long sharp knife. This caused the pig to die quickly by loss of blood. Afterwards boiling water was be poured over the skin to shave it. The pig was then hung from the ceiling, decapitated, gutted, and split in two halves. Once split, one would be able to tell the amount of fat and the quality of the ham and shoulder meat. It was then lowered from the ceiling, butchered in various pieces to provide fat, bacon, pancetta, and sausage meat. The brain, ears, tail, lungs, heart and kidneys were ground to produce sausages of lesser quality or were boiled with various greens to give them flavor.           

The sausages were hung from the ceiling on canes to be dried and smoked. They were then stored in the cellar or in terracotta vases full of lard. Ribs and liver would be cut in sizeable pieces and given to friends and relatives as gifts, who would have returned the favor once they killed their own pig. Lard, ham, shoulder, bones, ears, feet, were salted for 20 days after which they were hung from the ceiling. They were eaten during various festivities.

The leftover small bits of fat from the butchering process were boiled to make a sort of soft lard kept inside the pig’s bladder and used to season several dishes. The small hard bits of fat left over from boiling were used to flavor focaccia bread. The male pig genitals were used to oil leather laces and shoes. Bones, feet, ears, and tail were boiled in soups to flavor greens. The stomach and the intestines were used to prepare tripe dishes. Nothing was wasted. Even the pig nails were used, they were burned to “perfume and freshen” the air of the household to mask many other offensive odors. Whatever else was left from the butchering was used to make soap.

If the canes hung from the ceiling were heavy with of all the above items and the granary was full, then the family could breathe a sigh of relief and look with confidence at the future.

Rabbits and chickens were killed, flayed, plucked of their feathers, to be eaten during important holidays. The rabbit skins were tanned.