Per la rotazione agraria, alcuni campi venivano lasciati incolti (maggesi) o seminati a trifoglio, erba medica, lupinella e veccia. La loro coltivazione e raccolta, indispensabili per l’alimentazione degli animali da lavoro, avvenivano in un arco di tempo inferiore a quello dei cereali.
Le distese prative, che alla fine dell’inverno verdeggianti ondeggiavano al vento, erano utilizzate come pascoli o, a metà primavera, tagliate con la falce fienaia (faucióne) per farne maggengo (una primizia) o fieno vero e proprio.
Nei luoghi ripidi e scoscesi, si faceva uso della piú maneggevole falce da erba (senza denti) o della piú diffusa falce dentata.
Una volta essiccata e ridotta a fasci (tuórchie), legati con “tòrt” o a “sàrcene“, collocata sulla testa delle donne o su slitte a strascico (sdràule) o su barelle (baiard) o in cestoni a dorso di muli ed asini (‘ngègn) o su carri attrezzati, l’erba ormai trasformata in fieno veniva trasferita, per la conservazione, al chiuso, in fienili appositi (paglière), nei solai e nei soppalchi delle stalle; o all’aperto, sull’aia, dove era stratificata in covoni di forma conica (pèrn), costruiti intorno ad un lungo palo conficcato nel terreno e generalmente coperti alla sommità da teloni.
All’occorrenza, grosse fette ne venivano tagliate con particolari coltellacci dentati (tagliafiéne) operanti in verticale ed in orizzontale; mentre il fieno lungo era sminuzzato su rudimentali trinciaforaggi.
Il falciatore di fieno (metetóre) era attrezzato di falce fienaia (faucióne), dotata di un lungo manico che egli impugnava all’estremità con la sinistra; e portava, appeso alla cintura, un corno di bovino o un sacchetto contenente una pietra molare di forma allungata (còte) ed una lima.
Possedeva una piccola incudine ed un martello, per battere la lama, eliminandone cosí ammaccature ed usure al filo ed al taglio.
Leggermente chinato, grazie ad una seconda impugnatura per la mano destra fissata sulla lunga asta di legno della falce ed attraverso la quale le faceva compiere movimenti orizzontali e radenti il suolo, segava in basso l’erba e la lasciava cadere sul posto in piccoli filari, che sarebbero stati poi movimentati e raccolti con grossi rastrelli, generalmente di legno.
Compiva un lavoro monotono e faticoso.
The crops in the field were rotated. At times the field was left barren or it was sown with wild grasses, clover, or some medicinal herbs such as vetch and sainfoin.
The growing and harvesting of these green herbs was essentially to feed their beasts of burden (cows, mules oxen etc.). The time from the sowing to the reaping for these herbs was usually shorter than that of the cereals.
The meadows were used as grazing land or, in mid spring, they would be mowed with a special hay sickle to be harvested as a hay crop.
Once the hay grass was dried and tied into bundles, the grass would become hay and it was taken to be stored in a closed place especially made for this purpose, or it would be left out in the open air, on threshing floors, where it was stacked in mounds called “covoni”. The covoni were cone shaped and were made by stacking up the hay bundles around a pole sticking out of the ground and usually covered on top by a linen canvas. As the hay was needed, it could be cut directly from the covone.
The hay mower usually worked with a hay-sickle. This sickle had a long handle which he grabbed with his left hand. He would often carry, tied around his waist, a hollow cow horn within which he kept an elongated sharpening stone and a file.
He would bend slightly, his right hand grabbing a second holding place on the long sickle pole and he mowed the grasses with a horizontal, low to the ground, motion of the blade. The cut grasses fell into long rows that would later be gathered with a large wooden rake.
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