Conservazione

Dopo un accurato lavaggio, una piú rassicurante essiccazione ed una ulteriore crivellatura, perché non desse luogo a fermentazioni verminose (vervegliúne) che ne avrebbero compromesso la qualità, il grano veniva versato in grossi recipienti: tini, cilindri di canne intrecciate (cannacàmmere), parallelepipedi di legno (casciúne), tutti sempre ricoperti di strati di foglie di noci (insetticide) e forniti di copertura mobile e di una o piú aperture alla base, per la fuoriuscita a caduta ed a pressione del contenuto. In appositi recipienti era conservato quello per la semina, piú accuratamente selezionato.

Vari erano i tipi di grano: grano precoce (griéco), grano tenero (cecerèddra, carusèddra e bianghètta), grano duro (saraóddra, cappiéll e pólece).

All’interno dei vari granai, sia per difenderle dai topi sia per mantenerle al fresco, venivano “affogate” nel frumento pezze di formaggio pecorino (masciòttele).

Spesso il granaio si svuotava prima del nuovo raccolto: si era costretti, allora, a ricorrere a prestiti di grano a forte usura. Lo si riceveva con un “mezzétt a varra” e lo si restituiva con quello “a curm”, cioè ad un tasso di interesse che era del 15% circa per un periodo massimo di novanta giorni (quindi, il 60% annuo!).