Museo Etnografico di Aquilonia Beniamino Tartaglia

Medico

Doctor

Scegli la lingua

Per secoli, specie nelle classi povere, sottoalimentazione, igiene aleatoria, ambiente fisico spesso ostile, clima ed assenza di prevenzione e di terapie appropriate avevano dato costantemente luogo ad epidemie e pestilenze periodiche, a morbi contagiosi, ad una morbilità e mortalità infantili diffuse ed intense, che, in mancanza di una scienza medica probante, venivano attribuiti (tanto per farsene una ragione e credere di individuarne la causa) agli influssi astrali o a colpe individuali e collettive. Pertanto, ci si rivolgeva al medico solo in casi estremi, nei momenti di assoluta necessità.

Nelle passate generazioni, la resistenza al dolore fisico e ai disagi era elevata. Molti mali guarivano senza alcun trattamento, autonomamente (dopo aver avuto il loro “sfòche”), con la risposta immunitaria dell’organismo; e si prediligevano rimedi domestici, di cui i contadini avevano grande esperienza e di cui conoscevano la secolare efficacia.

Scarsa era la considerazione per la medicina ufficiale: ci si automedicava o si ricorreva al “guaritore” alternativo, tanto non c’era differenza tra gli infusi ed i decotti casalinghi e quelli prescritti dal medico e preparati dal farmacista (i due spesso erano visti come “soci in affari”). Infine, si sperava nell’intercessione dei Santi e nell’aiuto che veniva dalla fede: quando il contadino si ammalava, si chiamava prima il prete e poi il medico!

Alcuni medici erano, a volte, pasticcioni e privi di una solida cultura scientifica; quindi, poco stimati. Spesso in soprannumero (quasi tutte le famiglie borghesi e ricche avviavano i figli alle libere professioni), la loro attività non era stata nel passato molto lucrosa.

Nelle nostre comunità contadine essi prestavano la loro opera a cottimo e venivano compensati in natura: assistevano un’intera famiglia, e per tutto l’anno, in cambio di una quantità di grano (a misura e non a peso: tomolo, mezzetto, quarto, mezzoquarto) prestabilita e proporzionata al numero dei suoi componenti, da consegnare al tempo della raccolta. L’assistenza ai poveri era a spese del Comune e rientrava nel contratto della condotta.

I momenti del loro intervento di “routine” erano, come oggi, quattro:

  1. Anamnesi: storia particolareggiata dei precedenti della vita del malato nonché di quelli relativi alla salute dei suoi consanguinei, soprattutto i genitori.
  2. Esame fisiologico: si osservava il colore dell’urina, la natura delle croste sui coaguli e la lingua: se biancastra, indicava anemia; se irruvidita, disidratazione; se arida, irsuta, solcata e di colore scuro, affezioni gravi ed acute (rimanevano delusi i pazienti se non gliela si guardava). Si tastava il polso e si chiedeva quale parte del corpo avvertisse dolore. Dall’esame erano escluse indagini importanti come la palpazione dell’addome, l’osservazione ravvicinata delle vene del collo, la auscultazione delle sonorità interne, le esplorazioni rettali e vaginali. Si assumevano, infine, informazioni sull’appetito, sul sonno e sulla digestione. Sulla base di elementi così aleatori e generici, il medico rifletteva (inutilmente) a lungo: e mentre lui studiava, l’ammalato, spesso, moriva.
  3. Diagnosi: era solo sintomatica (il colore giallo indicava febbre biliosa; la diarrea, la febbre maligna; la febbre, infezione; la febbre terzana o quartana, malaria; le coliche, affezioni intestinali ed epatiche).
  4. Terapia: in assenza di una diagnosi rigorosamente fondata su dati certi, era sempre la stessa, generica e, pertanto, o poco efficace o inutile o, addirittura, dannosa.

Per curare malattie come l’ittero, le convulsioni, la dissenteria, le coliche epatiche ed intestinali, la meningite, il tifo, la malaria e la tubercolosi, ci volevano diagnosi più certe e ben altre terapie!

Il medico faceva ciò che poteva. Era un generico costretto a specializzarsi sul campo in quasi tutto il ventaglio dei mali diffusi sul territorio.

Gli ospedali erano lontanissimi ed irraggiungibili per la precarietà o l’assenza di mezzi celeri di trasporto; e lui spesso era costretto a fare l’internista e l’ortopedico, il chirurgo e l’ostetrico, attività per le quali era adeguatamente fornito di una ricca strumentazione (quella esposta nello stand è stata adoperata dal dott. Annibale Giurazza, Medaglia d’oro al Valore Sanitario).

Alla mancanza di supporti diagnostici e farmacologici adeguati, il medico di una volta sopperiva con la sua esperienza, con il suo intuito clinico, con la sua affabilità ed umanità (un atteggiamento cordiale e delle buone parole produceva effetti più proficui) e con la sua abnegazione.

Di notte e con ogni condizione meteorologica, a piedi o a dorso di asino o mulo o sulla sella di un cavallo, si recava nei casolari di campagna, anche ad oltre un’ora di distanza, per visitare l’ammalato. E non tralasciava di rendersi conto di persona, dell’evoluzione della malattia fino alla completa guarigione.

For centuries, especially amongst the poor, malnutrition, poor hygiene, unhealthy living conditions, difficult climate and lack of proper medical help, led to periodic outbreaks of epidemics and pestilences with high mortality rates especially amongst children. Since peasants lacked the most basic of scientific knowledge, these ills were attributed to the influence of the stars, or the individual’s or the society’s collective sins. The peasant would seek the doctor’s assistance only in dire cases.

Many illnesses were cured without any treatment, but with the simple assistance of the body’s own immune system. Domestic remedies were preferred for all illnesses. The peasants had lots of experience in using them and thought them to be very effective. When herbs did not work, they sought the help of a “Healer” or invoked the assistance of saints or The Divine Providence. There was little trust in traditional medicine.

In our peasant communities the physician would offer his expertise for a fee to be paid annually, not in cash but in produce. The physician would take care of a family for an entire year in exchange for a pre-established quantity of grain proportional to the number of folks in the unit. The task of assisting the poor belonged to the township.

Anamnesis, physical check-ups, and therapies were often too generic to do any good, and often made things worse. The therapy was often limited to the simple suggestion of eating well and often in order to gain strength. Physicians also prescribed enemas, powders, pills, etc. all prepared by the pharmacist and all of dubious quality or worse. Defecation, copious sweating, bloodletting by bistoury or leeches, administration of quinine were all recommended for malaria and typhoid fevers.

The physician did what he could. The nearest hospitals were extremely far away and out of reach. He would often act as orthopaedist, surgeon, and obstetrician and possessed a large quantity of medical instruments.

There was a lack of proper medicines and diagnostic tools. To make up for this, the physician substituted his professional intuition, his experience, his human touch and sometimes even his own self-denial.

He would go to attend the sick, often in some remote country shack, by traveling, sometimes at night, on foot or on the back of a donkey or a horse, regardless of the weather.

He continued on following the progress of his patient until he was fully healed and had returned his normal routine.